“18 MESI FA HO PERSO ENTRAMBE LE GAMBE.
ADESSO GUIDO, LAVORO E VADO IN PALESTRA”
Una donna del torinese biamputata in seguito a un incidente
racconta come non arrendersi mai per riconquistare la propria autonomia
Monica ha 53 anni e abita in un piccolo paesino nella provincia di Torino. Ha tre figli, tutti studenti universitari, di 24, 23 e 19 anni. Poco più di un anno fa la vita di Monica era completamente diversa da quella attuale. A gennaio 2015 le sue giornate erano scandite dalla classica routine di ogni madre e moglie lavoratrice come impiegata in una società che gestiva distributori automatici. Qualche mese più tardi però la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Rimasta coinvolta in un grave incidente nel maggio di quello stesso anno, subisce l’amputazione di entrambe le gambe a seguito del trauma. Da allora inizia un lungo percorso di visite, riabilitazione, nuove abitudini e nuove scoperte.
“All’inizio è stata molto dura, la vita in carrozzina mi apparve davvero limitante. Prima dell’incidente andavo in piscina con regolarità 2-3 volte a settimana. Dopo scoprii che mi era molto difficile nuotare, senza considerare il fatto che mi sembrava di avere addosso ogni sguardo. Ero una persona dinamica ed attiva e adesso avevo difficoltà anche per entrare a casa. Pensavo che non ce l’avrei mai fatta. L’obiettivo dei medici era farmi tornare a camminare con l’appoggio di due sostegni, ma mi sembrava un traguardo lontanissimo.”Iniziato il percorso riabilitativo, per la prima volta nel Centro entra in contatto con altri pazienti che, come lei, riportavano amputazioni. Fare squadra con persone sconosciute ma con cui condividere tristezze e speranze analoghe, era uno stimolo fondamentale per trovare coraggio nei momenti più difficili. “I primi giorni furono difficili, non lo nego. Infilare le protesi durissime, alzarmi, provare a camminare: faceva davvero molto male. Poi ho incontrato due donne della mia età con le quali ho iniziato a stringere un rapporto d’amicizia per affrontare il duro percorso con dolore e sostegno reciproco. Mi sono sentita parte di una nuova comunità. Dopo un mese sono uscita. Senza stampelle.”
Essere sulla sedia a rotelle comporta molti limiti, ma “avere delle buone protesi equivale, quasi, ad avere le proprie gambe.” Per questo Monica decise che non avrebbe passato il resto della sua vita senza utilizzare muscoli, ossa e nervi che ancora poteva comandare. “I compagni di ricovero mi avevano detto che non si finisce mai di modificare le protesi, ma non sapevo ancora esattamente cosa volesse dire. Poi capii. Col tempo il mio moncone smagriva, facendomi aggiungere ogni volta un calzettone tra la cuffia di protezione e la protesi. Arrivai ad avere fino a 6 calze per gamba finché fu opportuno cambiare l’invaso.” A questo punto si trattava di mettere a punto una protesi che potesse restituirle al massimo delle sue possibilità la vita precedente.
“Cercai un’officina ortopedica a Torino, valutando anche l’atteggiamento e il feeling con i titolari. Ho trovato nell’Officina Ortopedica Maria Adelaide il giusto mix tra professionalità, prezzo e cordiale distacco.” Venuta a conoscenza dei vantaggi della cuffia a 5 anelli prodotta dalla Ossur, che consente di eliminare la ginocchiera, inizia una nuova sfida. La tenuta di queste cuffie in un’amputazione bilaterale con monconi al limite della lunghezza, come erano quelli di Monica, sarebbe stata una bella vittoria in caso di riuscita. Nella protesi è stato inserito anche il sistema “Unity a vuoto attivo", sistema che controlla le variazioni di volume del moncone durante la giornata, assicurando una tenuta perfetta sulla gamba. “È stata fondamentale la disponibilità di tempo per fare tutte le prove (e gli invasi) necessari ad arrivare ad oggi, momento in cui indosso la versione definitiva. Una particolarità che qualcuno non condivide: ho deciso di non rivestire le protesi con un rivestimento effetto “finta gamba”. Ho voluto lasciare il tubo a vista e rivestire l’invaso di maglia silver effetto carbonio. Anzi, con Roberto Ariagno, tecnico dell’Officina Maria Adelaide, stiamo valutando di giocare con una cover colorata da mettere e togliere. Anche le protesi possono diventare un accessorio moda da abbinare ai colori dei vestiti… Adesso guido l’automobile, ho trovato un lavoro e mi sono iscritta in palestra, partecipando quasi a tutte le attività. Il fine settimana spesso vado a fare delle lunghe passeggiate nel bosco dietro casa con le amiche. Ho riacquistato una mobilità totale, tanto che mi è capita che coloro che ho conosciuto dopo l’incidente, non pensano che non abbia più entrambe le gambe. Se ce l’ho fatta non è solamente grazie alla mia forza. Il gruppo aiuta molto. Con le amiche del Centro si era creato una sorta di stimolo “competitivo”: se una iniziava a tenere le protesi per andare a mensa, ad esempio, le altre provavano incoraggiate da quell’esempio vicino e raggiungibile.”